storie di jazz / CHET BAKER


ENRICO PIERANUNZI racconta CHET BAKER / i thought about you

podcast

CHET BAKER Quintet feat. ENRICO PIERANUNZI / live in Aversa (27-5-1983)

CHET BAKER / almost blue

ritratti in jazz

La musica di Chet Baker aveva un inconfondibile profumo di giovinezza. Molti sono i musicisti che hanno impresso il loro nome sulla scena del jazz, ma chi altri ci ha fatto sentire con tanta intensità il soffio della primavera della vita? Nel suo modo di suonare c’era qualcosa che faceva nascere in petto un ineffabile, lancinante dolore, delle immagini e dei paesaggi mentali che soltanto la qualità del suo suono e il suo fraseggio sapevano trasmettere.

Purtroppo, però, perse in breve tempo questa particolare facoltà. Senza quasi che ce ne accorgessimo, il suo splendore venne inghiottito dalle tenebre, come la bellezza di una notte di piena estate. E il degrado a cui inevitabilmente conduce l’abuso di droghe gli piombò addosso come un debito andato oltre la data di scadenza.

Baker assomigliava a James Dean. Gli assomigliava nei tratti del viso, ma anche nella natura carismatica e al tempo stesso distruttiva della sua esistenza. Entrambi divorarono voracemente un pezzo della loro epoca, e il nutrimento che ne trassero lo donarono con grande generosità al mondo, senza trattenerne nulla.

Forse quel che dico è terribile, ma fu questa la tragedia di Chet Baker.

La sua rinascita e la sua rivalutazione degli anni Settanta per me hanno costituito ovviamente una gioia, ma in fondo l’idea che io ho di Baker e della sua epoca rimane ancorata al periodo di mezzo degli anni Cinquanta, ai tempi della West Coast, quando le sue spontanee e vivide performance facevano esplodere fuochi d’artificio dentro l’ascoltatore.

Le prime famose esecuzioni di Chet risalgono a quando suonava con il Gerry Mulligan Quartet, ma anche quelle del suo personale quartetto furono magnifiche. Lì, il tocco del pianista Russ Freeman arricchisce di un sottofondo brillante il suono della tromba.

Nelle performance che registrò insieme al suo quartetto, dietro alla facciata briosa e serena si avverte una sfumatura di solitudine assorta. Il suono non vibrato perfora l’aria in linea retta, poi svanisce nel nulla, in modo quasi prodigioso. Quanto alla tecnica di Baker, che non si sforza di raffinare la sua arte, non si può dire che sia particolarmente ricercata. Le sue esecuzioni sono incredibilmente aperte e schiette, tanto che finiamo col temere che a un certo punto la musica precipiti, che si spezzi di colpo.

È un suono infinitamente coraggioso, il suo, infinitamente patetico. È possibile che non abbia la profondità necessaria a raccontare la sua epoca. Ma è la mancanza stessa di profondità a farci vibrare il cuore. Assomiglia a qualcosa di cui abbiamo fatto esperienza. Vi assomiglia terribilmente.


Murakami Haruki

Chet Baker con Enrico Pieranunzi

Soft Journey

1979-80

Charlie Haden: Silence

1987

The (he)Art of the Ballad

1988

Little Girl Blue

1988

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